Quasi morto.

Al quarto giorno di febbre 41°C (senza abbassamenti neanche durante la notte) si decisero a chiamare il 118 e fui subito portato all’ospedale in ambulanza. Vennero due volontari sulla sessantina che dopo aver provato a sollevare un braccio esclamarono con occhi gufici "Come facciamo a portare ‘sto muflone per cinque rampe di scale e una salita di terzo grado senza barella? Qui serve una ditta di traslochi". Presi coraggio, mi sollevai come Lazzaro di Betania e dopo un giramento di testa apocalittico indossai una splendida copertina di fustagno, m’incamminai fiero e madido verso l’ambulanza sulla collinetta che mi apparse come un irraggiungibile Golgota. La sirena fischiava lontanissima e i possenti vecchietti mi guardavano sputando sentenze "questo non ci arriva all’ospedale di Ponte a Niccheri.. muore verso… Firenze Sud.." e l’altro "no, no a Grassina  tira il calzino. Scommettiamo?" "affare fatto, un aperitivo che muore a Niccheri". Neanche il conforto della scommessa di un centone di euro sulla mia dipartita ebbi. Dovevo tirare il calzino insomma. A proposito di calzini: quando sei malato hai un escursione termica che va da Nettuno a Mercurio cioè sudi stalagmiti ghiacciate e l’attimo dopo ti squagli come un candela sul fuoco. Sopra i calzini di spugna indossavo due calze natalizie di lana pesante, per la precisione due renne con tanto di occhi, corna e bocca regalatemi da mia madre nella speranza (vana) che addolcissero il mio cuore. Orrende e coloratissime, avevo dimenticato di toglierle prima di salire in ambulanza. I vecchini persero la scommessa e in seguito, quando mi rimisi in sesto, anche la vita.
Ma allora arrivai in ospedale e fui accolto da una truppa vestita di candidi scafandri dato che sospettavano una meningite da streptococco. Quando i vari DartFener bianchi furono certi che avevo solo una febbre a 41°C (senza abbassamenti neanche durante la notte) che durava da quattro giorni mi misero una flebo di potassio e mi tennero a macerare in una stanzina asettica. Eravamo io, i calzini di renna e qualche lamento di anziano. Per ore. Per fottute interminabili ore.
Un simpatico infermiere si trascinò due o tre colleghe per commentare ironicamente i miei calzini non sapendo che di li a 4 giorni avrebbe conosciuto il Padre Celeste per mano mia, mentre io ero incredibilmente inerme come una tartaruga rigirata. Ma sopravvissi.
 
A volte penso che il genere umano avrebbe dovuto ammazzarmi allora, svanì una ghiottissima occasione nella quale ero indifeso e colpibile. Oggi respiro anche se non so per quanto ancora.

 

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5 commenti

  1. vado che sul tuo pigiama da ospedale hai riproposto il semolino di ieri sera misto a succhi gastrici, posso approfittarne per far colazione?

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