(im)piegati a 90°

L’ufficio è una bolla d’acqua chiusa. Dopo due ore puzza, dopo dieci anni è la morte animica.
A differenza di un cantiere, di un negozio o di un’officina gli abitanti dell’ufficio sono entità cristallizzate solo con se stesse, ipnotizzate dal loro lavoro, convinte che il mondo reale si fermi entro quel piccolo tecnologico recinto. Non respirano. Fanno sempre i conti con i loro sogni, s’illudono e muoiono anzitempo.
Soli.
Inutili.
Inopportuni.
Ipnotizzati.
Come i prigionieri di un campo di concentramento credono di scalare una piramide fatta di diverse importanze personali per poi ritrovarsi alla fine dei giochi nello stesso forno.
Solitamente si muovono in branchi sprovvisti di un vero vero e proprio senso di appartenenza, pranzano insieme ai loro simili cioè colleghi a cui taglierebbero volentieri la gola ed evitano accuratamente la relazione "vedo-dico-mi mettoingioco" preferendo "vedo-mi paro il culo-parlo alle spalle". Fondamentalmente sono dei paraculi falliti solo che il mondo visto da una bolla chiusa si distorce, si gonfia, fa espressioni grottesche e loro si sentono veri e vivi. Se non fosse per lo schifo mi farebbero quasi tenerezza.
Pesci malati che boccheggiano nel piscio.
Tutto quello che sta nell’ufficio è allegoricamente morto. Basta recarsi in un ufficio pubblico: fogli rinsecchiti, polvere, incompetenti, leccaculi, paraculi, culi. La parola stessa "ufficio" è nefasta, sinonimo di ottusità, d’ignoranza e di chiusura tant’è che la Chiesa stessa nel 1542 pensò bene di chiamare la diabolica Inquisizione domenicana "Sant’Uffizio". E questa la dice assai lunga.

 

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